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Il pellegrino di buona volontà che viaggiando per l'Italia in cerca d'anime fraterne usciva allibito dalle gallerie d'arte (!) moderna di Roma, di Firenze, di Torino, di Venezia, di Milano, aveva fino a ieri un'ultima possibilità di non morire di disperazione. Sulla piazza alberata e soleggiata del castello sforzesco, all'un de' canti del Foro Bonaparte, una bottega d'arte era sempre aperta per lui, dove il meraviglioso Segantini lo pava di tutti i disgusti. L'opera di Giovanni Segantini, che lo Stato ignora per sue segrete ragioni, era sempre li per confortarlo, fiammeggiante di bellezza, e quella del buon Previati le si stringeva intorno.
Ora corre voce che il mercante Alberto Grubicy, lusingato dal successo parigino della sua esposizione di divisionisti, voglia far fagotto e passare i monti con l'ultimo brandello dell'anima paesana.
A noi non resteranno dunque che gli sgoccioli dell'arte di quel grande (Segantini) e le filamentose imitazioni degli scolari; ma per consolarci avremo sempre d'ora innanzi davanti agli occhi le leggiadre fantasie di Cesare Laurenti, di Ettore Tito, e forse — chi sa? — gli ultimi parti del nobile Balla e di Vincenzo Jerace, i simpatici eroi del processo Nasi.
E per ora ci basta.
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